Le storie delle coppie che hanno messo al mondo un figlio grazie alle tecniche che permettono di individuare malattie genetiche e cromosomiche. Per la prima volta i dati in Parlamento sulla legge del 2004: i centri che eseguono le indagini sono solo 35 e c’è molta differenza tra regioni
Sono 599 i bambini nati nel 2016 grazie alla diagnosi preimpianto sull’embrione che permette di individuare malattie genetiche e cromosomiche su bambini di genitori malati o portatori sani. Per la prima volta la relazione al Parlamento sulla legge in vigore dal 2004 che regola la Procreazione medicalmente assistita contiene i dati su questa tecnica aperta dal 2015 non solo a coppie infertili ma anche a quelle fertili con patologie genetiche. I centri che eseguono le indagini «sono purtroppo solo 35 di cui 23 privati e c’è molta differenza nell’offerta delle Regioni», denuncia Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni.
«Sono andata a ritirare i risultati del test di gravidanza con poca fiducia, rassegnata ad avere un altro colpo. Sapevo in partenza che per noi avere un bambino era una mission impossible. Invece, ci sediamo di fronte al dottor Ermanno Greco al quale siamo arrivati dopo altri pellegrinaggi fuori Roma e ci dice: “Complimenti signora, la cicogna sta arrivando”. Siamo scoppiati tutti a piangere, io, mio marito Riccardo, i medici. Non scorderò mai quei momenti», racconta Laura, 42 anni, da due mamma «miracolata» di Valerio che il 4 agosto spegnerà la seconda candelina. Un bambino impossibile davvero, sbocciato dall’unico embrione che si poteva utilizzare perché malato soltanto a metà e non completamente come tutti quelli analizzati. La diagnosi preimpianto ha messo a nudo un’alterazione cosiddetta a mosaico che, se espressa al 100%, avrebbe portato ad aborto oppure alla nascita di un bimbo con deficit mentale. Invece è successo quanto è stato provato in una pubblicazione firmata dallo stesso Greco sulla rivista New England: le cellule buone possono prendere il sopravvento su quelle cattive. In questo caso l’unico embrione investito della responsabilità di dare vita ha compiuto la missione. Laura però ricorda anche le difficoltà: «È stato un impegno fisico pazzesco. La coppia, quando si intraprendono queste cure, deve essere solida altrimenti si rischia di diventare pazzi. Poi però si diventa pazzi di gioia».
«Fin da piccola ho fatto trasfusioni di sangue e infusioni quotidiane per riequilibrare l’eccesso di ferro. I miei globuli rossi sono minuscoli, li perdo e ho bisogno di reintegrarli. Un’infanzia piena di privazioni per la mia salute imperfetta. Non avrei mai potuto dare ai miei figli le stesse pene. Io e mio marito lo abbiamo fatto per la loro felicità». Per la felicità di Francesco e Nicolò, nati lo scorso anno a marzo da embrioni analizzati prima dell’impianto per evitare che ereditassero la talassemia maior dalla mamma Claudia e dal papà Maurizio, lei malata, lui portatore sano. «Un dono incredibile, avevamo il 50% delle possibilità di trasmettere i geni con le alterazioni che ci hanno reso infertili», dice Claudia. Sostenuta anche dall’avvocato Filomena Gallo, la coppia intentò e vinse il ricorso per ottenere dal tribunale l’autorizzazione a fare la diagnosi preimpianto in un centro pubblico che non la rendeva disponibile. La sentenza favorevole arrivò nel 2012. I primi tentativi vani effettuati all’ospedale Microcitemico del capoluogo sardo, nel centro diretto dal ginecologo Giovanni Mommi, poi altri aborti spontanei e infine la doppia gravidanza ottenuta al costo di ulteriori cicli di fecondazione artificiale e la creazione di nuovi embrioni con il trasferimento in utero di quelli in salute.
Nasceranno nella seconda metà di agosto i gemellini di Rita che, con il marito Marco, li cercava da almeno cinque anni senza riuscire a rimanere incinta. «Siamo ambedue portatori sani di betatalassemia, la possibilità di avere un bambino senza la malattia in questi casi è una su quattro. La beta è la più complicata delle talassemie, ho visto un amico morirne a trent’anni, ho vissuto il suo strazio con la dialisi, e si figuri se avrei mai accettato che lo stesso accadesse a mio figlio». La coppia vive in Sardegna dove le talassemie hanno un’alta incidenza. L’ospedale Microcitemico di Cagliari è uno dei pochi centri pubblici italiani, l’unico nell’isola, organizzati al proprio interno per garantire la diagnosi preimpianto sull’embrione dietro pagamento del ticket. A dicembre Rita, 37 anni, ha saputo che aspettava due bambini, un maschio e una femmina, il tempo della tranquillissima gravidanza scadrà il 25 agosto, salvo anticipo non annunciato: «Non chiediamo più niente alla vita. È stata durissima. Il primo tentativo è finito male a causa di una stimolazione ormonale eccessiva. Ho sperato per un mese e mezzo di sentire il battito dei bambini che non sono mai nati. Ci abbiamo riprovato una seconda volta
e anche in questo caso è finita con delusione. Ed eccoli che stanno per arrivare i miei piccolini: non mi interessa che siano belli. Li prendo anche bruttini purché siano sani. Rallenterò il ritmo del mio lavoro per godermeli».
L’ 8 luglio Pasquale ha compiuto un anno. Appena nato era un gigante, pesava 4 chilogrammi e 100, crescendo ha mantenuto percentili al di sopra della media. Ha deciso di lasciare il grembo materno dopo 41 settimane e 3 giorni. Doveva essere un parto naturale invece è stato necessario il cesareo. Tante circostanze speciali per super Pasquale che non sarebbe dovuto nascere a causa di un difetto di traslocazione cromosomica che rendeva gli embrioni incapaci di ancorarsi. La diagnosi preimpianto eseguita all’European Hospital, nel centro diretto da Ermanno Greco ha permesso di superare gli ostacoli grazie a un’analisi dettagliata degli embrioni. Su 12, solo 3 sono risultati sani, due congelati, uno è stato avviato verso la vita. Ed era quello di Pasquale. Teresa, la mamma, oggi ha 38 anni e ricorda i momenti bui condivisi con il marito Angelo: «Siamo napoletani e abbiamo cominciato dalla nostra città, in una clinica privata, esperienza pessima. Angelo era preoccupato e mi esortava a mollare perché le cure per la donna sono pesanti e le delusioni bruciano. Ma io sentivo che ce l’avremmo fatta. Mio marito ogni sera quando torna a casa guarda Pasquale, piange e mi ringrazia per non aver deciso di desistere. Siamo felici e alle donne che sognano la maternità ritenuta impossibile dico: provateci, sarete ricompensate. I bambini illuminano l’esistenza, comunque arrivino».